Perché il valore del patrimonio culturale italiano è inestimabile

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L’Italia è tra i paesi al mondo in grado di vantare più siti UNESCO. La classifica aggiornata è disponibile online e conta in tutto 1154 siti, dislocati in 168 differenti paesi. La sola penisola italiana ne vanta 58, cifra che la posiziona al primo posto della graduatoria mondiale davanti alla Cina, i cui confini sono però infinitamente più ampi rispetto a quelli italici. Oltre che incredibilmente vasto e numeroso, vista l’esiguità dei territori italiani, il patrimonio culturale è anche difficilmente calcolabile. Il FAI, vale adire il Fondo Ambientale Italiano, ha censito più di 4mila musei sparsi sul territorio nazionale, circa 600 aree archeologiche e un numero vicino ai 40mila per quanto riguarda le dimore storiche. A queste cifre, occorre aggiungere le circa 85mila chiese soggette a tutela, non sono invece incluse quelle che rientrano nel patrimonio storico del Vaticano. Sommando tutti questi aspetti, il patrimonio storico calcolato è vicino ai 990 miliardi di euro.

Patrimonio culturale italiano

A fronte di questo inestimabile valore, dovrebbe destare stupore come la percentuale di spesa dedicata alla sua tutela sia così irrisoria. Un tentativo per porre un freno alle oscillazioni delle risorse era stato introdotto con la Legge di Stabilità del 2015, quando fu stanziato un fondo pari a 100 milioni (rinnovabile annualmente) per la manutenzione ordinaria del patrimonio. È evidente però come la cifra non possa essere considerata sufficiente e la maggior critica riguardava il fatto che i fondi fossero spesi per rispondere a misure urgenti, senza la possibilità di compiere un'adeguata programmazione in merito.

Ben presto cadde nel vuoto anche questo fondo reso strutturale perché con la pandemia dovuta al Covid19 sono cambiate le priorità di spesa del paese e la chiusura di tutti i musei e le aree archeologiche hanno portato a 0 la voce relativa alle entrate. Qualcosa dovrebbe cambiare con l’adozione del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, varato dopo la fine della pandemia e dedicato al rilancio di tutti i settori dell’economia, incluso quello relativo al patrimonio culturale italiano. A questo settore, infatti, si unisce quello del turismo, in particolare quello culturale, che in Italia vale 11 miliardi secondo i dati aggiornati al 2024, e costituisce il 13% del PIL del Paese.

Occorre però aver presente che non bastano i fondi a rendere protetto e tutelato un patrimonio artistico, ma servono contestualmente anche professionisti altamente specializzati. I laureati in Beni Culturali, tanto nelle università tradizionali quanto in quelle telematiche come Unicusano, hanno come sbocco principale quello di lavorare in contesti museali, ma esistono anche altri corsi accademici più specializzati che possono riguardare ogni aspetto della cultura, dalla creazione di un festival alla gestione dei beni interni ad una galleria d’arte. Ad esempio tra le materie di un master su come gestire i beni culturali figurano la gestione museale e la didattica museale, ma anche la legislazione legata ai beni culturali e l’allestimento museale, con attenzione particolare rivolta agli elementi di architettura ed interior design. Diversa è invece la specializzazione di coloro che intendono lavorare come ricercatori all’interno delle aree archeologiche, per cui la laurea magistrale in Archeologia è considerata requisito minimo obbligatorio.